Scopri un capolavoro esclusivo e armonioso che unisce devozione, bellezza e mistero in un solo sguardo
Nel silenzio vibrante delle chiese antiche, dove l’oro si fonde con la penombra e l’incenso con la memoria, si leva un’opera che sembra custodire il respiro stesso dell’Arte sacra: il Retablo di San Michele, un capolavoro esclusivo e armonioso della scuola tardogotica sarda e catalana. Esso si presenta come una fiamma intellettuale nel cuore del Mediterraneo, punto d’incontro tra devozione, maestria pittorica e geometria spirituale.
In questa costruzione d’altare – nata per celebrare il principe delle milizie celesti – le forme e i colori si organizzano con un rigore che sfiora la musica. Ogni figura, ogni oro cesellato, ogni sorriso dell’angelo sembra rispondere a un principio proporzionale, una legge invisibile di equilibrio che trasforma il sacro in visione. È un’opera che non si limita a rappresentare il divino: lo evoca, lo misura, lo specchia attraverso una trama segreta di linee e simmetrie.
È dunque nel Retablo di San Michele che si scorge la fusione più pura fra estetica e teologia. Ed è in quella fiamma disciplinata, in quella misura luminosa, che la rivista Divina Proporzione trova il suo territorio: là dove la bellezza si rivela come intelligenza e l’armonia come conoscenza.
– Origini e contesto storico
– Struttura, materiali e proporzioni
– Iconografia e significato teologico
– Il linguaggio della luce e dell’oro
– Eredità e riscoperta contemporanea
– Riflessione finale
Origini e contesto storico
Il Retablo di San Michele nasce nell’area culturale catalana e sarda del Quattrocento, in un periodo di fervido dialogo tra la tradizione gotica internazionale e le nuove tensioni umanistiche. Le isole, ponte naturale fra Penisola Iberica e Italia, divennero un terreno fertile per arti ibride e raffinate: nei laboratori di Cagliari, Alghero e Sassari si intrecciavano influenze provenzali, fiamminghe e aragonesi.
Quest’opera, attribuita al Maestro di San Michele di Oristano (attivo tra XV e XVI secolo), è una delle testimonianze più preziose del retablo mediterraneo. Collocato originariamente nella chiesa di San Michele ad Oristano, rappresenta la funzione del retablo come architettura della fede: una “macchina visiva” destinata a mediare tra il fedele e la luce divina. Gli archivi ecclesiastici ne testimoniano la presenza come fulcro devozionale dell’altare maggiore, organizzato in più scomparti e coronato da pinnacoli miniati.
Secondo il Museo Diocesano Arborense di Oristano, che conserva oggi i pannelli superstiti, l’opera misura oltre tre metri d’altezza e rappresenta una delle composizioni meglio conservate della pittura tardogotica sarda. Le sue figure – sottili, eleganti, immerse in un oro denso – portano il segno di una mano esperta nel bilanciare misticismo e osservazione naturalistica.
Il tempo e le contingenze storiche ne hanno disperso alcune sezioni, ma ciò che rimane continua a irradiarsi con un’energia formale che incanta gli studiosi: non come reliquia, ma come testimonianza viva di un’idea di bellezza misurata e teologica.
Struttura, materiali e proporzioni
Una geometria della devozione
Il Retablo di San Michele: capolavoro esclusivo e armonioso si impone per la sua architettura pittorica tanto rigorosa quanto ispirata. Ogni asse, ogni cornice, ogni arabesco è obbediente a una legge proporzionale che riflette, in pieno spirito rinascimentale, la struttura ordinata dell’universo divino.
– Le proporzioni: lo schema è basato su un sistema modulare di divisioni auree, dove ogni riquadro si rapporta all’altro secondo rapporti di armonia visiva.
– I materiali: tavole di pioppo levigate e dorate a guazzo, con stesure di tempera sottili e traslucide.
– Gli ornamenti: punzonature a rilievo sul fondo oro, incise come gemme, definiscono un ritmo che sembra far vibrare l’intera superficie.
Sopra la predella, si sviluppano i registri: al centro l’Arcangelo Michele, in atto di trafiggere il drago, nell’atto eterno della giustizia divina; ai lati, episodi della sua leggenda e figure di santi vescovi e martiri. Nella sezione superiore, piccoli tondi o cuspidi ospitano l’Incoronazione della Vergine e testine angeliche, creando una vertigine ascensionale.
Il ritmo dell’oro e della linea
L’opera sembra concepita come un reticolo di musica visiva. Le linee formano una partitura che sale e discende, e in questo moto continuo la forma si trasforma in canto. Non vi è un solo gesto che non partecipi a una misura nascosta, una “divina proporzione” che lega l’anatomia degli angeli al passo delle architetture tracciate sullo sfondo.
Gli studi più recenti rivelano l’uso di compassi e squadre per stabilire i punti di tensione della composizione. Ogni volto, ogni spada, ogni manto è inscritto in un cerchio o in un triangolo isoscele, simboli dell’unità trinitaria e dell’equilibrio cosmico.
Iconografia e significato teologico
Michele, simbolo dell’intelligenza ordinatrice
L’Arcangelo Michele è figura di confine: guerriero e contemplativo, assertore della giustizia e custode della bellezza. Nell’immaginario medievale rappresenta la mente divina in atto, la forza che separa la luce dalle tenebre, la forma dal caos.
Nel retablo, la sua armatura è resa con dettagli che oscillano tra realtà e allegoria: ornata d’incisioni d’oro e pietre smaltate, riflette la luce come una corazza metafisica. Il corpo del drago, schiacciato ai suoi piedi, non è solo un segno di vittoria ma una misura di equilibrio cosmico: la materia informe redenta dalla luce.
Simboli della visione
Accanto a Michele compaiono figure che ampliano il significato teologico dell’insieme:
– La Vergine col Bambino, quadro di grazia e di intercessione.
– San Michele e le anime in bilico sull’equilibrio della bilancia, allegoria dell’ordine morale del mondo.
– I santi protettori della città e delle corporazioni, che traducono l’eterno nella lingua quotidiana delle comunità.
Dietro ogni gesto c’è una sapienza che unisce retorica pittorica e meditazione: il retablo non è soltanto un’immagine, è una catechesi proporzionale, una teologia resa visibile attraverso la misura delle forme.
Il linguaggio della luce e dell’oro
Ogni retablo è, in fondo, un’architettura di luce. Nel Retablo di San Michele, la luce non è semplice effetto decorativo ma metafora dell’intelletto divino.
La doratura, stesa su bolo rosso e lucidata con pietra d’agata, genera riflessi che mutano con il movimento dello spettatore. L’oro diventa “spazio puro”, mezzo di trascendenza: è ciò che separa e insieme unisce il mondo terreno al soprannaturale.
L’uso di ombre sottili e di cromie cangianti – verdi di malachite, rossi di cinabro, blu di lapislazzuli provenienti dal Levante – rivela l’eco delle botteghe internazionali. Si tratta di una scienza dell’occhio, ma anche dell’anima. L’artista, nella sua conoscenza dei pigmenti e delle proporzioni, si fa alchimista: luci e forme si combinano per riflettere un ordine eterno.
BOX / FOCUS
Data approssimativa di realizzazione: 1430–1450
Autore: Maestro di San Michele di Oristano (attribuito)
Tecnica: Tempera e oro su tavola, punzonatura e rilievi a stucco
Conservazione: Museo Diocesano Arborense, Oristano
Significato: Rappresentazione della vittoria del bene e della luce, simbolo della giustizia divina e della misura cosmica.
Eredità e riscoperta contemporanea
Nel corso del XIX e XX secolo, l’interesse per i retabli sardi portò alla riscoperta di numerose opere dispersive del tardo Medioevo. Il Retablo di San Michele venne restaurato e studiato nel contesto di un più ampio programma di tutela del patrimonio sardo-catalano.
Oggi esso non è solo testimonianza artistica, ma anche archivio della memoria visiva mediterranea: un ponte fra oriente e occidente, fra pubblico e invisibile. La sua presenza nei musei contemporanei assume un valore quasi poetico: è un frammento di liturgia che invita alla contemplazione, ma anche alla riflessione sul significato di ordine e armonia nel nostro tempo di dismisura.
Studiosi e storici dell’arte lo analizzano come paradigma di struttura e proporzione. Le sue regole formali, basate su modularità e ritmo geometrico, sono state studiate come una sorta di grammatica aurea dell’immagine sacra. Persino in ambito contemporaneo, artisti e designer cercano in queste antiche partiture cromatiche un modello per una bellezza fondata su misura, non sull’arbitrio.
Riflessione finale
Il Retablo di San Michele, capolavoro esclusivo e armonioso, ci parla del legame indissolubile fra fede, forma e conoscenza. Dentro la sua trama dorata si nasconde un’idea che trascende i secoli: la bellezza come strumento di intelligenza, l’arte come scienza della luce e dell’equilibrio.
Osservandolo oggi, nel silenzio di una sala museale, si avverte il respiro di un’epoca in cui ogni gesto creativo era un atto di proporzione, una ricerca di armonia tra l’umano e il divino. Non vi è confine tra matematica e misticismo, tra visione e ragione: tutto si scioglie nell’unica misura dell’essere.
Così, nella filosofia di Divina Proporzione, il retablo diventa emblema perfetto della verità artistica: la bellezza come intelligenza attiva del mondo, l’armonia come conoscenza operante. Nel battito lieve d’oro e luce dell’angelo, si ascolta ancora un antico messaggio: che ogni forma, se misurata dal cuore e dalla mente insieme, è un riflesso dell’ordine segreto dell’universo.





