Un viaggio poetico e rigoroso tra strumenti, accordature e invenzioni che misurano l’armonia: antichi, esclusivi e, forse, i migliori
La storia dell’arte dei suoni è, prima di tutto, storia di strumenti: superfici vibranti, corde tese, colonne d’aria e dispositivi che rendono udibile l’ordine invisibile del mondo. In questo paesaggio, gli Antichi Strumenti dell’armonia non abitano soltanto i musei e le sale da concerto: sono formule incarnate, proporzioni praticate, idee in legno, metallo, vetro o aria. Sono le macchine della misura, dove la bellezza si fa numero e il numero, finalmente, canta.
Ma se l’armonia si lascia misurare, non è per ridurre l’esperienza estetica al calcolo; è piuttosto perché il calcolo, qui, respira. Dalla Grecia di Pitagora alle botteghe di liutai rinascimentali; dalle corti barocche all’ingegno illuminista; dalle stanze segrete degli sperimentatori romantici ai laboratori contemporanei, l’armonia attraversa epoche e mani, trasformando strumenti in saggi di filosofia pratica. Ogni diapason, ogni monocordo, ogni arpa d’Eolo pare un compasso che disegna suoni nello spazio.
E allora varchiamo la soglia: dal mito alla misura, dalla rarità alla perfezione, dai canoni antichi alle audacie di oggi, nel lento, elegante cammino di chi ricerca la proporzione come forma di verità.
– Genealogia dei suoni: dal mito alla misura
– Strumenti dell’armonia: antichi esclusivi e migliori
– Il laboratorio della proporzione: accordature, scale, canoni
– Armonie rare: esclusività, artigianato e invenzione
– Box / Focus: Il monocordo di Pitagora
– Esemplari contemporanei: verso i migliori strumenti dell’armonia
– Riflessione finale
Genealogia dei suoni: dal mito alla misura
Il mito racconta di Pitagora che, passando accanto a una fucina, intuisce relazioni numeriche nel suono dei martelli; la scienza storica preferisce il monocordo: un’asse con una sola corda, un ponticello mobile, e la possibilità di misurare l’intervallo musicale come rapporto di lunghezze. L’ottava 2:1, la quinta 3:2, la quarta 4:3: numeri semplici, suoni limpidi. Secondo il Museo Galileo di Firenze, il monocordo fu «strumento didattico e di ricerca» per secoli, ponte tra l’astrazione matematica e la pratica musicale, e il loro catalogo conserva esemplari che raccontano quest’avventura del pensiero e dell’udito.
Da Pitagora a Platone, la musica entra nell’ordine del cosmo: non puro intrattenimento, ma disciplina del Quadrivio – aritmetica, geometria, musica, astronomia – in cui il suono traduce la proporzione e la proporzione riflette la necessità del cielo. Boezio, nel VI secolo, sistematizza un’idea che avrà lunga vita: la musica va compresa su tre piani – musica mundana (l’armonia del mondo), musica humana (l’armonia dell’anima e del corpo) e musica instrumentalis (ciò che, infine, suoniamo). Così gli strumenti diventano non soltanto oggetti, ma argomenti.
Nel Medioevo e nel Rinascimento, l’arte della misura sonora si complica: i trattati moltiplicano i diagrammi, le banchine dei mercati ascoltano liuti e violas, le corti commissionano organi e clavicembali, e gli studi di acustica s’intrecciano a quelli di architettura. La sala, il palazzo, la chiesa, perfino il teatro all’aperto, diventano strumenti ampliati: il luogo che accoglie e riflette l’armonia. Un organo nella navata gotica è più di un organo: è una geometria risuonante.
Infine, tra XVI e XVII secolo, entrano in scena scienza sperimentale e meccanica del suono: Marin Mersenne formalizza le leggi che legano frequenza, lunghezza e tensione delle corde; Gioseffo Zarlino, nel suo Istituto harmoniche, propone una visione di consonanza e natura che segnerà la teoria per generazioni. Sotto la finezza del legno e della colla, è la ragione a costruire l’armonia.
Strumenti dell’armonia: antichi esclusivi e migliori
Esiste un pantheon di strumenti che hanno incarnato, in epoche diverse, l’ideale di armonia. Antichi, perché fondativi; esclusivi, perché ospitati da élite o da laboratori d’avanguardia; “migliori”, perché capaci di una chiarezza e efficacia nell’esprimere il rapporto tra misura e bellezza.
La lira e il monocordo aprono la lista: la prima, simbolo civile e sacrale nel mondo greco; il secondo, laboratorio didattico e specchio della proporzione. Di grande fascino è l’hydraulis, organo ad aria e acqua descritto già in età ellenistica, attribuito a Ctesibio: colonna d’aria, pressione costante, tasti e canne – un vero teatro della fisica. Se il monocordo pensa il suono, l’hydraulis lo governa.
Nel Rinascimento e nel Barocco, l’organo e il clavicembalo diventano strumenti di varietà e ricchezza timbrica: nelle cattedrali e nelle corti italiane, francesi e tedesche, la loro presenza è segno di potere e ingegno. Qui la “esclusività” non è mero lusso; è la possibilità di commissionare strumenti con registri speciali, decorazioni, innovazioni meccaniche che fanno di ogni organo un individuo. La musica, come l’architettura, entra in rapporto con la singolarità.
L’Illuminismo inventa meraviglie: la glass armonica, ideata da Benjamin Franklin, trasforma il vetro in canto con coppe rotanti e dita umide. Il suo timbro, quasi angelico, seduce salotti e compositori; Mozart scrive per questo strumento un delicato Adagio (K. 356/617a), e l’Europa scopre il piacere di un’armonia immateriale. La rarità di questi strumenti, il loro costo e la loro fragilità consolidano uno statuto di esclusività tanto sociale quanto sonora. Sulla glass armonica e i suoi esemplari storici, il Smithsonian Institution conserva una documentazione preziosa.
E poi l’arpa d’Eolo, lasciata al vento, che suona da sé l’aria: qui l’armonia non è solo scelta, ma evento naturale. La scala delle correnti, l’ordine dei vortici, l’impalpabile architettura del paesaggio diventano strumento. “Migliore” forse non nel senso della perfezione tecnica, ma della rivelazione poetica che produce: l’armonia come incontro.
Il laboratorio della proporzione: accordature, scale, canoni
Se gli strumenti sono corpi, le accordature sono la loro anima. La storia dell’armonia passa per scelte di rapporto, compromesso e purezza. Qui la misura decide il destino del timbro: un semitono stretto può animare una dissonanza; una quinta pura può aprire un orizzonte.
– Intonazione pitagorica: basata su quinte pure (3:2), produce una scala limpida nelle consonanze perfette ma severa nella gestione dei terzi; ideale per monodia e primi contrappunti, meno per la modulazione complessa.
– Intonazione naturale (giusta): privilegia gli intervalli come rapporti semplici anche per terze (5:4), generando armonie luminose nelle tonalità principali, ma crea “lupi” in tonalità lontane; splendida per musica rinascimentale.
– Meantone (temperamento mesotonico): tempera le quinte per migliorare le terze; equilibrio elegante ma limitato nel giro tonale, con alcune tonalità “proibite” per eccesso di dissonanza.
– Ben temperamenti: soluzioni storiche (Werckmeister, Kirnberger) che offrono varietà di colore tra le tonalità; non uniformi, dunque expressive: Johann Sebastian Bach ne celebrò l’arte con il suo “Clavicembalo ben temperato”.
– Temperamento equabile: divide l’ottava in dodici semitoni uguali; compromesso universale che permette di modulare ovunque, ma riduce la differenza di sapore tra tonalità. Standardizzato nel XIX secolo, domina il pianoforte moderno.
A questa tavola di scelte, i teorici hanno dato legittimità e metodo. Gioseffo Zarlino, nel XVI secolo, offre una prospettiva “naturale” e razionale che organizza le consonanze e guida la prassi polifonica; la sua figura e le sue opere sono sintetizzate nell’Enciclopedia Treccani, pilastro dell’erudizione italiana. Più tardi, Mersenne e gli enciclopedisti elaborano una visione fisica della acustica, che trasferisce la musica dal regno del mito al laboratorio.
Il canone – non solo regola compositiva, ma struttura della conoscenza – guida la scelta delle scale. Dal maqām orientale al raga indiano, dal sistema modale europeo medievale alle tonalità del Barocco, ogni civiltà definisce “migliore” ciò che risponde alle sue domande estetiche e spirituali. La miglior armonia è sempre situata: una proporzione che convince in un tempio veneziano può disorientare in un teatro viennese.
Armonie rare: esclusività, artigianato e invenzione
La musica ha amato l’unicità: strumenti pensati e realizzati per un committente, un luogo, una occasione. In un mondo di replicabilità, resiste l’esigenza di impronte sonore che non si lasciano confondere. Qui l’armonia diventa artigianato, e il laboratorio – quello vero, con banconi, resine e vernici – è una bottega della conoscenza.
La viola da gamba, con la sua dolcezza e la sua gamma timbrica, si afferma nei salotti di Francia e Inghilterra; la tiorba allunga il suo collo e amplia la rotondità grave del basso continuo; il clavichord sussurra un suono che nessun teatro potrebbe amplificare, ma che nella stanza, accanto a un lume, diventa confidenza. Strumenti “esclusivi” non perché irraggiungibili, ma perché richiedono una società d’ascolto: prossima, concentrata.
La viola organista, concepita nei disegni di Leonardo da Vinci e realizzata in tempi recenti con grande perizia, sognava di unire la tastiera dell’organo al timbro sfregato della viola: un’utopia di proporzione e meccanica. L’idea – che la tastiera possa governare un arco – parla alla nostra fantasia di sintesi tra matematica e gesto, tra regola e invenzione.
Siamo anche di fronte a strumenti che si sottraggono alla catalogazione: la glass armonica già citata, la Arpa di Eolia, il theremin elettrico con le sue antenne che “sentono” l’avvicinarsi della mano. Qui l’esclusività si fa esperimento, e l’armonia interroga il confine tra naturale e artificiale. Sono gli strumenti che ricordano la vocazione originaria dell’arte: attraversare limiti.
Box / Focus: Il monocordo di Pitagora
– Data simbolica: V secolo a.C. (tradizione pitagorica)
– Oggetto: asse di legno con corda singola e ponticello mobile; scala graduata
– Valore: strumento didattico e scientifico per dimostrare gli intervalli come rapporti di lunghezze
– Proporzioni chiave:
– Ottava: 2:1
– Quinta: 3:2
– Quarta: 4:3
– Significato: ponte tra aritmetica e acustica; base della musica come scienza della proporzione
Esemplari contemporanei: verso i migliori strumenti dell’armonia
Chi sono oggi i “migliori” strumenti dell’armonia? La domanda presuppone un criterio: non la potenza bruta, ma la capacità di incarnare un equilibrio tra misura, espressività e verità timbrica. Il pianoforte moderno, temperato equabilmente, è un vademecum universale; ma il suo “meglio” si dialoga con la identità dei repertori cui si applica.
Nel contemporaneo, l’armonia vive una nuova stagione: i sintetizzatori modulari, ad esempio, trasformano la proporzione in architettura del segnale. Non più corde o canne, ma oscillatori, filtri, inviluppi che obbediscono a numeri e curve: il suono si disegna come una figura matematica, e l’orecchio verifica la coerenza. Anche qui esistono esemplari “esclusivi”, configurazioni uniche costruite da artigiani dell’elettronica.
Nella liuteria, la ricerca su vernici, legni antichi, modelli storici prosegue: violini, viole e violoncelli che tentano di conciliare proiezione e morbidezza; chitarre classiche che ricompongono la lira moderna con equilibrio tra attacco e sostenuto. Il “meglio” è spesso il risultato di un ascolto condiviso: interpreti, liutai e acustici che si confrontano come una società della proporzione.
Infine, gli strumenti-ambiente – sale da concerto progettate per essere strumenti esse stesse – definiscono l’armonia ampliata: parametri di riverbero, diffusione, assorbimento, riflessione. Se il violino è una scultura sonora, la sala è la città dell’udibile. In questo contesto, l’esclusività coincide con la cura: la misurazione minuziosa degli spazi, la fedeltà del suono alla sua verità.
Il laboratorio della conoscenza: misura, ascolto e proporzione
Ogni strumento è un compromesso tra fisica e gesto. La meccanica che regge la corda o governa il flusso d’aria non è neutra; modella ciò che chiamiamo “carattere”. Per questo la storia degli strumenti dell’armonia è anche storia di stili, di scuole, di tradizioni: Cremona o Mirecourt, Lipsia o Parigi, Venezia o Napoli – città come metodo.
Non esiste uno strumento “migliore” in assoluto; esiste piuttosto la capacità di rispondere a una poetica. Il monocordo risponde alla poetica della dimostrazione; l’organo a quella dell’architettura; la glass armonica a quella dell’epifania. Nelle epoche di uniformazione, è vitale ricordare la diversità come condizione del pensiero.
Eppure, un criterio resta: la precisione. Uno strumento di armonia è “migliore” quando consente di distinguere, senza confusione, le relazioni che lo fondano. Questa precisione non è fredda: si mostra nel vibrato che non sovrasta l’intonazione, nel registro che non cancella la trasparenza, nella scala armonica che non impone ma invita.
Riflessione finale
L’armonia, nella sua forma più alta, è una pratica di conoscenza. Gli strumenti la rendono tangibile, ci educano all’ascolto come attenzione, alla proporzione come intelligenza. Vi è un’etica della misura, e un’estetica dell’ordine che non è routine ma rivelazione. Quando attraversiamo le genealogie degli strumenti – antichi, esclusivi, talvolta i “migliori” – percorriamo una via che unisce arte e scienza, materia e idea, orecchio e numero.
In questa via, la filosofia di Divina Proporzione ci accompagna: la bellezza come intelligenza e l’armonia come conoscenza. Perché ciò che suona bene non è solo ciò che piace: è ciò che, nel piacere, spiega. E ciò che spiega non è solo ciò che dimostra: è ciò che, nel dimostrare, incanta. Così gli strumenti dell’armonia restano, nel tempo, maestri discreti che insegnano a vedere nel suono, e a udire nella forma, il segreto misurato della bellezza.


